Buso della Pisatela
Ambientamento geografico
L’altopiano del Faedo – Casaron, in provincia di Vicenza, è parte integrante dell’ultima dorsale dei Lessini vicentini che fa da spartiacque tra la valle dell’Agno e la valle del Leogra.
A Sud-Ovest le pendici del monte degradano nel comune di Cornedo Vicentino, mentre il resto dell’altopiano si può dire che si sviluppa tutto entro i confini del Comune di Monte di Malo.
La quota massima raggiunta da cima Faedo è di 780 metri mentre il resto del pianoro sommitale si estende all’incirca tra i settecento metri del settore Ovest e i seicento metri del settore Est.
Al centro dell’altopiano di Faedo c’è un minuscolo paesino dal nome omonimo che sembra incarnare le parole di Geminiani per la canzone “Il ritorno” musicata dal maestro Bepi De Marzi: <<tre case, l’ostaria, la césa col piovàn>>, poi un paio di minuscole contrade e un laboratorio artigiano del legno con artisti che producono quasi esclusivamente pezzi unici.
Note geologiche e idrologia carsica
Rispetto ai grandi altopiani carsici quello di Faedo è veramente minuscolo ma grazie alla sua particolare natura geologica e alla favorevole successione stratigrafica ha permesso la formazione di cavità di dimensioni straordinarie.
Nell’area Nord Occidentale l’andamento dei reticoli idrici sotterranei è condizionato dalla presenza di una estesa colata di basalti olivinici e vulcaniti, sormontata da una pila di calcari oligocenici (calcareniti di Castelgomberto).
I basalti, grazie alla loro impermeabilità e alla loro giacitura, hanno determinato lo scorrimento incanalato delle acque da Ovest verso Est secondo la generale immersione degli strati.
Una leggera flessura del letto impermeabile e una serie di fratture della massa sedimentaria sovrastante hanno condizionato lo sbocco delle acque in corrispondenza dell’attuale ingresso del Buso della Rana che, congiunta con il Buso della Pisatela nel marzo 2012, per ora è la più estesa grotta del Veneto con i suoi tre ingressi e circa 40 km d’estensione.
Nel tratto Sud Orientale dell’altopiano, in prossimità dell’abitato di Priabona, lo scorrimento idrico non può raggiungere il livello di base per la presenza di potenti ed estesi orizzonti marnosi (marne del Priaboniano) nei quali lo scorrimento idrico principale avviene ancora oggi in regime freatico lungo sistemi di condotte vascolari.
A Priabona troviamo, infatti, un’altra grotta piuttosto estesa, la Grotta della Poscola, che si sviluppa con un dedalo di gallerie quasi perennemente allagate.
Sugli stessi livelli ma sul versante di Cereda sono presenti altre grotte con corsi d’acqua minori e precisamente la Grotta del Cameron e il Buso dell’Acqua.
Un capitolo a sé è rappresentato dalla Grotta ai Cocchi in comune di Cornedo, località Spagnago, una grande grotta ricca di drappeggi concrezionali, che si sviluppa in calcari eocenici al di sotto del livello impermeabile sul quale si estendono il Buso della Rana e la Grotta della Poscola.
Aspetti carsici e strutturali
La sommità dell’altopiano del Faedo è segnata da diffusissime manifestazioni di carsismo superficiale con marcate concentrazioni di campi solcati a carso parzialmente coperto e innumerevoli doline di ogni forma e dimensione che movimentano tutto il paesaggio.
L’unità morfologica dell’altopiano è segnata profondamente a SE dalla valle Faeda e a NW dalla valle delle Lore, i cui andamenti seguono i principali motivi tettonici della nostra zona che sono sub paralleli alla “linea Schio-Vicenza”.
Il nome di valle delle Lore (grandi imbuti per il travaso del vino nelle botti) è particolarmente significativo in quanto legato alla presenza di tutta una serie di doline a gradinata che, assorbendo le acque meteoriche, hanno reso fossile la valle.
In tutto l’altopiano di Faedo, attualmente, sono note un centinaio di cavità a prevalente andamento verticale.
Tra le grotte verticali possiamo ricordare grotte ormai storiche come la Spurga dei Forni, la Spurga del Barbeta e la Spurga delle Parpanoie e abissi come la Spurga del Viperotto, il Buso de Checo e l’Abisso Papanero.
Il Buso della Pissatèla
L’altopiano di Faedo, da almeno quarant’anni, è oggetto di intense ricerche speleologiche e, se il sogno dei gruppi speleologici friulano-giuliani è quello di poter raggiungere il corso sotterraneo del Timavo, attraverso gli abissi del Carso, gli speleologi vicentini, da sempre, sognavano di scoprire sul Faedo qualche pozzo attraverso il quale penetrare nel Buso della Rana.
Le battute di ricerca vengono di solito intensificate durante la stagione invernale perché, specialmente nell’area nord occidentale dell’altopiano, in presenza di una copertura nevosa, si possono notare con discreta frequenza parecchie aree sgombre dalla neve grazie ad un’abbondante e diffusa corrente d’aria calda che spira da strettissime fessure o cumuli di clasti.
Se la temperatura esterna è particolarmente rigida, sembrano materializzarsi delle figure fantasmagoriche formate da eterei vapori che si librano nell’aria e poi scompaiono.
Questo diffuso alito della terra tradisce la presenza di cavità sotterranee, anche di notevole sviluppo.
Durante una escursione estiva, sul versante di una piccola dolina imbutiforme, era stato notato un buchetto di sezione ellittica, quasi coperto da una cortina di edere pendule che si cullavano al “respiro della terra”.
L’abbondante corrente d’aria che, d’estate, usciva dal cunicolo suggeriva trattarsi di un “ingresso basso”, ma…. basso rispetto a cosa, dato che nelle immediate vicinanze c’era veramente ben poco di più alto? Nessuno avrebbe neanche osato immaginare il mondo che stava al di là di quel nero pertugio.
Il desiderio di capire il fenomeno spinse gli speleologi del CAI di Schio a iniziare uno scavo come quelli già tentati, con scarsi risultati, in diverse altre fessure dell’area.
Molti soci, stranamente, continuarono nel tempo a credere in quella che era stata ottimisticamente battezzata “Pissatela” (la doppia esse viene usata per la pronuncia), termine dialettale locale usato per definire il girino, o piccola rana, in omaggio al famosissimo Buso della Rana che distende le sue spire all’interno dell’altopiano carsico di Faedo.
E fu un’epopea di scavi che durò per oltre vent’anni e vide avvicendarsi generazioni di speleologi scledensi senza che mai venisse meno la speranza di entrare in un nuovo, grande, sistema carsico.
Dopo quasi quaranta metri di dislivello, percorsi scavando lungo fessure angosciose, intervallate da modesti pozzetti, all’inseguimento di un filo d’aria, finalmente a premiare la costanza ci fu la prima scoperta: quasi settecento metri di grotta nuova con un grande salone sotterraneo detto “dell’Orda” e una galleria in leggera salita interessata da grandi crolli e percorsa da un discreto corso d’acqua, il ramo “a Sud”.
Dalla galleria, l’acqua si immette nella sala “dell’Orda” e scompare gorgogliando al di sotto della gigantesca frana che ne costituisce il pavimento.
E ancora gli speleologi scledensi a non demordere di fronte a quella frana che da un lato sembrava deridere i loro sforzi ma allo stesso tempo pareva lanciare sempre nuove esche e nuove sfide, con neri interstizi tra i massi o con gorgoglii sommessi.
Finalmente fu scoperto il punto debole della frana e un nero vuoto sottostante riaccese la speranza di nuovi sviluppi.
Era l’anno 2000, significa che ci vollero ben vent’anni prima di dare una vera e propria svolta alle esplorazioni, e fù grazie a tre ex-corsisti che con intuito ed orecchio percepirono il vuoto sotto i loro piedi.
La grande scoperta
Dopo uno scavo ciclopico, calando in uno stretto pertugio aperto tra blocchi incombenti, fu possibile raggiungere una minuscola spiaggia in riva ad un misterioso torrente sotterraneo che scorre a circa 70 metri di profondità rispetto all’ingresso della grotta.
Seguendo il corso d’acqua fu raggiunta la sponda di un lago, nero, gelido, profondo, che toccava la volta di una galleria, più che vista, immaginata, protesa verso l’ignoto.
Sulla volta, sgombro dall’acqua, rimaneva uno strettissimo canale di dimensioni sufficienti a contenere quasi tutto il capo di uno speleologo senza casco.
Il gelido abbraccio dell’acqua che superava l’altezza del mento non fermò gli esploratori i quali, sempre seguendo il filo d’aria, riuscirono ancora una volta a superare l’ostacolo, denominato “Stargate”, porta delle stelle, e a penetrare in un nuovo complesso sotterraneo gigantesco.
Al di là dello “Stargate”, il Ramo “Giannino Giacobbi”, una grande galleria che rappresenta l’asse principale della grotta ed è percorsa da discreto torrente che getta le sue acque nello “Stargate”.
La dedica a Giannino Giacobbi rappresenta un deferente omaggio al secondo presidente del dopo guerra che resse le sorti del gruppo del CAI scledense con straordinario impegno specialmente nel campo della ricerca archeologica.
Procedendo nel ramo “Giacobbi” si incontrano il ramo “del Sorriso” e la Bocca “dello Squalo”, quest’ultima caratterizzata da un ricco drappeggio di stalattiti e stalagmiti che richiamano l’immagine famosa del film Lo squalo.
Avanzando ancora si raggiunge il ramo “dei Centoventi” che si biforca in “Acqualandia”, nome che è tutto un programma. Poi si incontra il Ramo del “Brutto Anatroccolo” che da un esiguo meandro intervallato da grandi camini evolve in ramo “del Cigno”, una galleria di dimensioni eccezionali; più avanti il Ramo “delle Gettate” la cui sezione è tagliata a mezza altezza da una spessa lastra concrezionale a letto pianeggiante e il “Tunnel”, una galleria dalle morfologie stupende caratterizzata nella parte alta da una condotta a sezione ellittica che sembra scavata da mano umana mentre, nella parte bassa, lo scorrimento dell’acqua a pelo libero ha inciso un ampio canale in uno strato interessantissimo di conglomerato composto da un insieme di clasti misti di calcare e basalto.
Procedendo nel ramo Giacobbi si attraversa la Sala Bianca, con il pavimento tappezzato di traslucidi cristalli di gesso e si raggiunge poi il “Tira Bora”, salone ventoso il cui nome sente l’influsso di temi internazionali contemporanei alla scoperta.
A lato del salone troviamo “la Cascata”, discreto salto d’acqua che si frange con dolce sciacquio nel laghetto sottostante e risalita la Cascata, dopo un alto meandro serpeggiante e ben guarnito da scallops, i Rami sopra la Cascata.
Al di sopra della Cascata si diramano due vie distinte.
Seguendo la via di sinistra, ovvero il Ramo Sinistro sopra la Cascata, dopo aver superato un tratto, oggetto di un lungo scavo, si giunge in Sala Matrioska, particolare per la presenza di una concrezione stalagmitica formatasi in tre fasi concrezionali intervallati da deboli depositi argillosi,che il caso ha portato alla nostra attenzione.
In realtà questa Sala non è altro che una grande galleria che dopo uno stretto pertugio si dirama nuovamente nel bagnato Ramo Bazaxenoci e nel Ramo del Castello, una lunga galleria ricca di colate calcaree.
Seguendo il Ramo Destro sopra la Cascata, superata la Strettoia del Picco, si giunge in Sala Faedo e qui un ulteriore biforcazione dà sul Ramo dei Picconatori e sul Ramo Megan Gale.
Proseguendo per il Ramo Megan Gale, che più che altro è un meandro prevalentemente basso e ben bagnato, si giunge ad un camino.
Tale camino, è stato battezzato Pozzo Pater Noster, il Rè dei Pozzi (della Pisatela ovviamente) in quanto il più profondo tra tutti con la sua verticale di 50mt è il più profondo di tutti.
Un ardito scavo ha fatto si che la sommità del Pater Noster sia stata collegata con una dolina esterna, presente in prossimità della contrada Cima (Faedo), la quale, per una strana coincidenza, è chiamata dai locali Busa delle Messe. Lo sbocco all’esterno di questo pozzo ha dato vita al Secondo ingresso della Pisatela.
Nel tratto finale la galleria supera di 90 metri la quota di ingresso della grotta per cui si spiega benissimo il senso rovescio della corrente d’aria nel cunicolo iniziale (vecchio ingresso della grotta)
Questi nomi, divenuti ormai familiari, rappresentano migliaia di metri di grotta, con gallerie impreziosite da straordinari drappeggi di stalattiti, percorse da torrenti di acqua limpida, abbellite da laghetti cristallini e i cui silenzi sono rotti solamente dallo scroscio di piccole cascate.
Il Ramo Schio
Lo “Stargate”, con il mistero di due torrenti confluenti e apparentemente nessun emissario, sollecitò non poco la fantasia degli speleologi finché un’attenta osservazione, aiutata anche da qualche grammo di fortuna, consentì ancora la scoperta di un esiguo canale, scavato sulla volta di una vasta galleria sommersa, il quale rappresentò la chiave per penetrare nei rami a valle. Altri nomi si aggiunsero a quelli già citati: il Ramo “Schio”, il Ramo “Carnevale”, il ramo “del Contorsionista” e saloni grandiosi come la Sala “delle Mogli” e grandi laghi come il Lago Lungo
…….un’epopea entusiasmante di scoperte……
fino ad una frana, immobile, ermetica che sembrava farsi beffe degli sforzi e delle speranze degli speleologi. L’acqua se ne va attraverso un laminatoio aperto nella viva roccia, invalicabile all’uomo, e una discreta corrente d’aria spira attraverso i massi che compongono la frana. La sala finale a valle, dopo la stesura del rilievo fu chiamata Sala “della F-Rana” perché, posizionando il Buso della Rana e la Pissatela sulla carta al 5000 si constatava che la distanza tra il ramo Schio della Pissatela e il Ramo Nero della Rana, compatibilmente con errori di rilievo, era di circa 25 metri.
La comunicazione tra le due grotte era certa, stabilita per via acustica, bastava solo un deciso e pesante lavoro di scavo.
Tali lavori sono durati per diversi anni fino alla venuta di quel di marzo 2012 nella quale, grazie allo sforzo di speleologi del Gruppo Grotte Schio in amichevole associazione con il Gruppo Speleologico Malo, il sogno è diventato realtà!
One Comment
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marina zerbato
Dic 13, 2012 @ 10:28:50
bellissimo !