Complesso del Monte Cucco di Pozze

PRIMA NOTA SUL CARSISMO PROFONDO DEL MONTE CUCCO DI POZZE

ANTEFATTO
1974. Mi trovo alla rivendita scout di Schio per l’acquisto di una divisa per mio figlio Carlo. Mentre attendo il mio turno noto in un angolo un plastico costruito con fogli di compensato sovrapposti e ritagliati seguendo le curve di livello delle carte al 25.000. Incuriosito sposto il plastico dove c’è più luce per poterlo meglio osservare, e con piacere noto che riproduce la parte sommitale dell’Altopiano dei Sette Comuni, e precisamente la zona da noi visitata nelle nostre battute alla ricerca di nuove cavità. Mi colpisce immediatamente una specie di grande solco che dalla Val di Nos, sembra tagliare tutto l’acrocoro sommitale, dai Granari di Bosco Secco alle pendici orientali del monte Forno, fino alle propaggini del monte Cucco di Pozze, per poi Verso il Monte Cucco di Pozzepiegare bruscamente a Nord-Ovest verso le bastionate del lato nord del monte Chiesa. Il grande solco è la traccia evidente di una paleovalle, con sezione a U molto aperta, probabilmente occupata, migliaia di anni fa, da una lingua glaciale di notevoli proporzioni. E’ istantaneo collegare l’esistenza della paleovalle alla presenza di fenomeni carsici profondi e altrettanto immediato è l’accendersi in me di un vivo desiderio di percorrere la zona alla ricerca di ingressi di abissi che già sogno senza fine.
La domenica successiva, con Nerino Bortoloso, mi trovo lassù a camminare, fra fitte macchie di pino mugo, dalle pendici orientali del monte Forno verso il monte Cucco di Pozze.
La traccia di vallone si vede chiaramente, pur tormentata da grandi doline, bordata da gradinate carsiche, come protetta da una fitta vegetazione strisciante, che rende estremamente difficile una visione d’assieme e ancor più difficile il camminarci.
Localizziamo e rileviamo la Grotta del Lago e altri due piccoli pozzi a neve che alimentano la speranza e giustificano la fatica.
Ci spostiamo a Ovest ed ecco, in una piccola radura, schizzare fra i mughi un minuscolo capriolo che sembra quasi un cagnolino: visione dolce che dura il tempo di una stella cadente.
Procediamo scavalcando folte macchie di mugo che ci costringono a conquistare terreno a prezzo di vere acrobazie. Ad un tratto l’orizzonte si allarga e spaziamo lo sguardo in una immensa conca verde formata da due grandiose doline sullo spartiacque delle quali spicca il bruno di Malga Pozze. I versanti delle doline rappresentano un ambiente naturale di incomparabile bellezza, specie nel mese di luglio in cui tutta l’area è letteralmente ricoperta di fiori dai colori smaglianti: nuvole azzurre di Nontiscordardimé, trapunte vivaci di Fiordalisi nani, cuscini di Anemoni bianchi, pennellate gialle di Ipocheride, fasce viola scurMalga Pozzeo di Clinopodio Alpino, azzurri occhi di Genzianelle, tappeti di Rododendro, sprazzi lilla di Dafne Striata; un tripudio di colori che mozza il fiato a chi abbia un minimo di sensibilità per le bellezze naturali.
Man mano che ci avviciniamo, Malga Pozze si erge in tutta la sua rude bellezza di costruzione di tronchi di abete, al modo delle case dei pionieri nel lontano West americano.
Fra i tronchi della malga sembra spuntare la faccia furbesca del <> immortalato ne <> da Ermanno Olmi che qui a Malga Pozze e negli immediati dintorni ha girato alcune delle scene più significative del film.
Lasciata la malga percorriamo una vecchia strada militare che costeggia una serie di baraccamenti diroccati. Ci fermiamo ad ammirare il lavoro fatto con cura dagli uomini che, negli anni della Grande Guerra, hanno popolato questi monti con dedizione, sacrificio e grande capacità costruttrice. C’è una teoria interminabile di costruzioni fatte di pietre squadrate a mano e sovrapposte con perizia in modo da rendere meno grama la permanenza quassù.
Tocchiamo le pendici del monte Cucco di Pozze e qui pieghiamo a Est per gradinate calcaree fino ad una specie di vallone scavato nella viva roccia, probabilmente da antichissimi corsi d’acqua e adattato dai militari per la loro sopravvivenza.

Seguendo il vallone raggiungiamo una serie di spianate calcaree sul lato Est del monte Cucco. Qui, fra i mughi, sprofonda un piccolo pozzo a due ingressi: la Grotta Voragine di Monte Cucco. Esploriamo e rileviamo la la cavità che ha una bella galleria che si stacca alla base del pozzetto iniziale; la galleria sembra originata da acque circolanti in condotta forzata con Abisso dl Monte Cucco di Pozzesuccessivo ampliamento per azione crioclastica.
Saliamo il monte Cucco e ci rendiamo conto che il piccolo sperone roccioso è tutto traforato da una serie di gallerie militari predisposte in modo circolare e radiale su tre linee sovrapposte; un lavoro gigantesco.
Sulla sella che congiunge il monte Cucco di Pozze al monte Chiesa localizziamo una grande caverna in discesa, chiaramente intercettata di militari nel loro lavoro di scavo di trincee e gallerie e sfruttata dagli stessi come deposito. Scendiamo sul fondo e notiamo che fra i massi si avverte una notevole corrente d’aria, indice di sicuri proseguimenti.
Trattandosi di una prima ricognizione riprendiamo il cammino spaziando lo sguardo nell’immensa dolina a nord del monte Chiesa
detta Busa dell’Orco. Gli orchi devono essersi rifugiati tutti dentro i profondi abissi della montagna perché non ci è dato di vederne alcuno misurare a grandi passi le spianate calcaree della zona.
Seguiamo una trincea scavata nella viva roccia, e in corrispondenza do una curva a novanta gradi notiamo l’ingresso di un pozzo naturale che ci riserviamo di esplorare in altra occasione.
Procedendo in costa localizziamo altri due bei pozzi e, finalmente, raggiunta la sommità del monte Chiesa, ci imbattiamo nella grandiosa cavità, con notevole ghiacciaio interno, detta Buso del Ghiaccio di Monte Chiesa.
La giornata si è dimostrata fruttuosa e ci ripromettiamo di tornare quanto prima a esplorare e rilevare le cavità localizzate e altre che certamente si celano fra mughi e trincee.

Le esplorazioniUna delle tante Marmotte della zona
Il tempo passa, e negli anni successivi a questa prima felice presa di contatto con questa zona di Altopiano dedichiamo parecchie spedizioni per esplorare e rilevare una numerosa serie di cavità sulle pendici del monte Chiesa e sulle spianate calcaree verso il Fontanello del Cuvolin; ma le cavità localizzate sul monte Cucco vengono un po’ dimenticate.
Grossi impegni esplorativi vedono il gruppo attivo nelle aree del monte Zingarella, di malga Fossetta e di Campo Gallina.
Ad un certo momento arriva una richiesta della locale sezione del CAI di guidare in visita al Buso del Ghiaccio di monte Chiesa un gruppo di escursionisti che intendono vedere anche le opere militari di monte Forno, monte Cucco di Pozze, monte Chiesa e Ortigara. E’ una delle escursioni promosse da Maria Grazia Rigoni e da Tino Marchetti di Asiago soci del CAI di Schio, profondi conoscitori dei luoghi e sensibili cultori di memorie patrie.
Un disguido di orario fa si che non agganciamo il gruppo di escursionisti e quindi decidiamo di rilocalizzare e rilevare il Cavernone di monte Cucco di Pozze che per quanto ci pare di ricordare si apriva come una galleria militare. Purtroppo non riusciamo subito a localizzare la grotta, e quindi ci proponiamo di controllare sistematicamente tutte le gallerie militari visibili.
E’ così un andirivieni in un dedalo di gallerie, di postazioni e di casematte fra fitte macchie di mughi e di ravaneti conseguenti ai lavori di scavo compiuti dai militari.
Sono con me Roberto Munari e Cesare Raumer, punte di diamante della speleologiaABISSO MONTE CUCCO DI POZZE scledense. Anche loro hanno abbracciato la mia teoria sulla possibilità di localizzare complessi carsici profondi legati alla presenza di una lingua glaciale. L’occhio esercitato alla ricerca di nuove cavità fruga gli anfratti, tutto il fisico è teso a raccogliere la più minima corrente d’aria che spiri da una fessura. Roberto ci avverte di aver trovato una fessura soffiante all’interno di una postazione. Non si tratta del cavernone cercato, forse si tratta dello sfondamento di un diaframma fra opere militari attigue. Scava per ampliare un anfratto; un piccolo crollo fa diventare più violenta la corrente d’aria. Ancora uno sforzo e passa la strettoia. Un urlo: c’è un meandro naturale, alto, in leggera discesa, chiaramente scavato da un corso d’acqua. Avanziamo trovando qualche concrezione, poi un grande pozzo. Sarà l’abisso? Si l’Abisso del Monte Cucco di Pozze. Una voragine veramente interessante che tiene impegnati gli speleologi scledensi per qualche tempo. Esplorazioni, rilievi, risalite, forzamenti. Tutto un mondo da scoprire, e siamo appena agli inizi. L’intuizione sta diventando realtà. L’inverno non è molto lontano e le spedizioni sul monte Cucco si susseguono con regolarità. Capita l’occasione buona per Flaviano Masetto che, salendo fra il verde dei mughi, non perde occasione di cercare ingressi di nuove cavità. Mentre avanza in una fitta macchia incontra un minuscolo pozzo dal quale si leva in volo una pernice già in veste invernale. Sarà di buon auspicio? Cala in libera sul fondo e nota che di li parte una bassa galleria chiaramente adattata dall’uomo. La percorre e, dopo qualche metro, incontra una struttura in legno che corona una stretto pozzo. Sotto, una scala di legno permette di calare in una galleria inferiore che dà su di un nuovo pozzetto con l’orifizio armato di tronchi, un’altra scala di legno permette di scendere in una cavernetta. Di qui parte un basso condotto che, dopo qualche metro, dà su di un pozzo profondo. Un nuovo abisso? Si, l’Abisso della Pernice Bianca che assorbe altre energie del gruppo in esplorazioni, rilievi, forzamenti rinnovando la carica nei soci che si impegnano senza riserve.
Igor all'Ingresso del Però Prometteva BeneOra le esplorazioni si susseguono alternativamente nelle due grotte. L’inverno si avvicina sempre più e sono ancora di turno Cesare e Roberto che conducono una spedizione nell’Abisso di Monte Cucco. Quando escono è notte fonda e trovano tutto ammantato da un leggero strato di neve gelata. La luna splende in cielo in tutta la luminosità del plenilunio, ma fa un freddo glaciale che rende le tute simili ad un’armatura medioevale. Si scende tra i mughi in uno sfavillio d’argento. Fade e Folletti danzano nell’aria a breve distanza. Smaliziati mortali, fra scetticismo e sorpresa, vogliono vederci chiaro e con uno sforzo sovrumano scavalcano nella notte mughi e trincee per avvicinarsi agli esseri danzanti. Eterei spiriti che si librano nell’aria e scompaiono. E’ il respiro della terra.
Un prosaico sacchetto di nylon viene fissato ai mughi e poi si vedrà.
Si torna lassù l’anno successivo perché la neve ha ricoperto tutto. Si fa una nuova battuta fra i mughi e si incontra una piccola cavità che si espande nel sottosuolo percorsa da una notevole corrente d’aria. Dopo un certo tratto le dimensioni diventano proibitive per gli uomini, ma non per l’aria che sembra irridere gli speleologi.
Cesare e Roberto non si danno per vinti e, usciti, perlustrano le spianate calcaree, profondamente piagate dalle trincee, localizzando una stretta fessura prossima ai ruderi di alcune costruzioni militari. Un tubo da stufa è infilato nella fessura verticale. l'ingresso dell' Abisso del NidoSi sfila il tubo; un leggero crollo e una folata d’aria investe gli esploratori. Risulta necessario uno scavo, anche con metodi rudi. Sotto la fessura sprofonda un pozzo che accoglie il lancio di pietre con brontolii e sospiri. I due discendono per una cinquantina di metri uno splendido pozzo-cascata fino alla base. Con una risalita di alcuni metri raggiungono una finestra donde parte una notevole galleria di interstrato, con pavimento tagliato da approfondimento rapido per scorrimento di acque a pelo libero. Dopo un centinaio di metri, rotti da un paio di pozzi dovuti a catture arretranti, la galleria sembra esaurirsi in un cunicolo veramente esiguo.
Anche se la profondità è relativa, la voragine viene chiamata Abisso del Nido: tale nome è dovuto al fatto che sulla parete prospiciente all’ingresso c’è un nido.
I Castelloni di San Marco ci danno ricche soddisfazioni con altri abissi quindi il monte Cucco, pur nel suo grande interesse e nella incompletezza dei lavori, vede diradarsi le visite che sono Però Prometteva Bene - Passaggiovolte a completare il lavoro di rilevamento e di documentazione fotografica. Corsi di speleologia tenuti dal gruppo immettono energie fresche ed è la volta di Norberto Marzaro, Ruggero Soliman e Mirco Calgaro che, in seguito ad un’altra escursione sul monte Chiesa fatta in compagnia dello scrivente e degli amici di Asiago, decidono di ridare un’occhiata alle grotte esplorate, anche per poter visitare e osservare dei fenomeni carsici di un certo interesse.
Dopo aver visitato i due abissi più importanti, calano nell’Abisso del Nido, percorrono la galleria terminale e decidono di misurare uno stretto cunicolo che in precedenza era stato solo valutato approssimativamente. La lunghezza risulta di un metro e novanta. Girandosi per uscire Norberto nota una espansione laterale. Di li anfratti, cunicoli, pozzetti, grandi pozzi e sale. Anche se le misure di profondità non l’avrebbero consentito è stato di buon auspicio chiamarlo abisso. E che abisso! Si rinnovano gli sforzi e gli entusiasmi e il 1984 vede gli speleologi del CAI di Schio impegnati in un grandissimo lavoro di esplorazione e rilevamento. Si incontrano frane da superare, risalite per trovare la prosecuzione, strettoie da sfondare anche con l’ausilio del martello demolitore. Chi controlla all’esterno il buon funzionamento del generatore deve sorbirsi attese Però Prometteva Bene - Passaggiointerminabili. I soliti Cesare Raumer, Flaviano Masetto e alcuni giovanissimi per far passare il tempo lasciano un paio degli amici al generatore e decidono di guardare a fondo un pozzo a neve che sprofonda ad un centinaio di metri di distanza. La neve che si è sciolta parzialmente lascia intravedere una bassa galleria. Un pozzetto immette in un’ampia sala dalla volta bassa e dal pavimento occupato da una colata di ghiaccio trasparente; all’estremità opposta all’entrata un passaggio dà su di un bel pozzo. Poi c’è il baratro; un salto di cinquanta metri impostato lungo un’ampia frattura. E’ il quarto abisso del monte Cucco di Pozze. Intanto i protagonisti dell’Abisso del Nido: Norberto, Ruggero, Mirco ed Enzo Balasso telefonano all’esterno che sono stati abbondantemente superati i quattrocento metri di profondità: è il secondo abisso del vicentino dopo l’abisso di Malga Fossetta, esplorato sempre dal nostro gruppo, e il quarto abisso del veneto. Quella che era un’intuizione nata davanti ad un plastico degli scout è diventata realtà. Nelle grandi gallerie a forra presenti in tutti gli abissi par di vedere ancora rovesciarsi torrenti turbinosi di gelide acque di fusione glaciale mentre i terrazzi di depositi di riempimento formati da sabbie e ciottoli fluitati narrano la storia di antichi fiumi sotterranei che hanno creato un mondo fantastico rivelato per la prima volta agli occhi degli uomini.
In tutti gli abissi, una notevole corrente d’aria accompagna gli esploratori e quando un ramo termina in grandiosi saloni di frana si avverte chiaramente l’aria che filtra fra i massi.
C’è ancora un mondo da scoprire e altri ingressi localizzati aspettano la nostra visita.

[Leonardo Busellato]

Abisso del Nido

Abisso Però Prometteva Bene

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