Abisso di Monte Priaforà 10.10.15

Leggendo qui in lista continuamente di articoli su articoli forieri sulle varie attività speleo del gruppo, per non essere proprio da meno, eccomi qui con l’interessante resoconto dell’uscita di ieri, sabato 10 Ottobre.
Come vi ricorderete avevo, (come faccio sempre…!), questa volta proposto l’uscita al cosiddetto “buso de franco sotto il versante ovest del priaforà”. Io ed il Mase ci siamo dati disponibili. Anche Massimo Pasqualotto ha aderito all’iniziativa, comunicandolo qui in lista. Fatto sta che giovedi in sede registriamo che la massa degli speleo andrà al Buso della Neve, a disostruire la fessura finale, ora sgombra dai massi. Un’operazione ghiotta a dire il vero e a cui mi sarebbe piaciuto partecipare. Ma il mio scarsissimo allenamento, praticamente nullo in questi ultimi mesi, mi ha consigliato di dire no… MA E’ ANDATA BENE LO STESSO!
 Vista dal Priaforà 2015
Alle 8.00 partiamo tutti e tre col furgone da casa mia alla volta del Novegno. Su su e arriviamo alla Busa dove posteggiamo il furgone all’inizio della strada che porta a Malga Campedello, strada notoriamente impedita al transito dei mezzi senza permesso. Zaini pesantucci in spalla e via. La giornata si presenta leggermente coperta, il cielo è plumbeo ma non piove. Speriamo che tenga è il pensiero di ognuno di noi. Arrivati al Passo di Campedello Massimo propone di fare una strada alternativa che prevede il percorrere per un certo tratto il comodo sentiero, quasi una strada, che porta al M. Priaforà  per poi scendere giù attraverso dei ghiaioni fino al congiungimento con la traccia di sentiero solita. Hmm…forte del detto mai abbandonare la strada vecchia per quella nuova io ed il Mase decidiamo di andare appunto per la pista vecchia. Io so che cosa mi aspetta, dall’altra parte no… Così via per traccia che segue la nota trincea. Su e giù tra i boschi bellissimi di faggio dai mille colori che in questa stagione hanno il colore più bello. Il terreno è però molto pesante, l’umidità è al massimo, bisogna stare attenti a non scivolare. Dopo una buona mezz’ora, forse più, ci ritroviamo tutti e tre assieme. Proseguendo sempre sulla traccia segnata dalla presenza della trincea arriviamo infine sulla verticale del canalone dove cento metri sotto si apre il buco. Anche il Mase, che qui non c’era mai stato, ammette che si ha la sensazione di essere proprio in “Assland”, in una regione in culo al mondo. “Inculonia”, appunto.
Dal buchetto li vicino tiriamo fuori la corda da 150metri per calarci nel vallone. Ci cambiamo da grotta e poi giù tutti e tre in rapida sequenza. Oggi la corda era indispensabile…. Il Mase vede l’ingresso del buco per la prima volta e gli piace. Buon segno. Massimo invece c’è già stato una volta scorsa ma si era fermato sull’ultimo salto di una quindicina di metri. Io invece ero fermo alla prima discesa, dopo che con Igor l’avevamo ritrovato l’anno prima. Anche a me quindi interessava molto vedere cosa c’era sotto. In realtà Mirco Calgaro, che nella precedente uscita era arrivato sul fondo-fondo, mi aveva descritto la situazione: Il fondo dell’ultimo salto (siamo a circa 50/60 metri di profondità) si presenta bello, discretamente largo con il pavimento piatto, di pura roccia viva. Dalla parte opposta alla linea di discesa, esiste una grossa frana costituita da grossi macigni. Tutto vero, purtroppo…. Oggi a dire la verità la grotta si presentava praticamente priva di corrente d’aria, come temperatura sembrava di essere fuori, non c’era differenza. Logico aspettarsi l’assenza dell’aria. Ciò nonostante non ci siamo minimante scoraggiati. Abbiamo esaminato con calma la situazione, gli strati della roccia e stabilito il punto esatto dove iniziare la disostruzione. Un grosso macigno era il bersaglio. Dopo appena sette solleciti abbiamo capito dove puntare il dito e con altri quattro o cinque incoraggiamenti abbiamo aperto l’imbocco di un promettente meandro. Incredibile, poco prima sembrava arduo anche il solo sperarlo, a vedere la situazione. Ma visto i personaggi, la grotta si è messa letteralmente a tremare! Massimo, che ha un taglio fisico da invidiare (ma non ha rubato niente a nessuno, tutta farina del suo sacco…) si infila annaspando un po’ nel meandro, che appare un po’ strettino. Infatti poco dopo lo sentiamo picchiare con la mazzetta e scalpello. Toc! Toc!. Va beh, mi infilo anch’io e lo raggiungo, dice il Mase. Mentre loro due sono al di là io preparo tre argomenti convincenti all’inizio del meandro, anche per polverizzare un grosso masso in bilico che stava su per miracolo. Neanche a farlo apposta i due, appena finito il mio lavoro, mi chiedono il trapano per fare altrettanto nella strettoia dove sono arrivati. Così mi infilo anch’io nel budello per portare il necessario. Noto che è stretto ma tutto sommato si passa, porconando un po’, ma si passa. Dopo una decina di metri li raggiungo. C’è una strettoietta verticale che dà su una pozza d’acqua sotto e che lascia trasparire un ambiente un po’ più grande. Allargarla è proprio una cosuccia da niente penso… E difatti alcuni minuti dopo ci troviamo questa porta aperta ed il masso pericolante non più pericolante perchè trasformato in graniglia. Unico punto un po’ dolente il fatto che dentro il meandro aleggia un fumetto come dentro un “casotto” con dieci cacciatori che sparano contemporaneamente: non tira aria! Raggiungiamo il punto e lo passiamo. Davanti c’è il Mase. Effettivamente l’ambiente è più largo. C’è! ragazzi c’è!!! urla il Mase. Ma che cosa c’è?, gli rimando io. C’è il pozzo! Si passa? No, ma basta allargare. Bene pensiamo, l’avventura continua. Raggiungiamo il posto tutti e tre e ci guardiamo intorno.  In effetti al di là si vede nero, l’imbocco è ingombro di pietrame ma il disostruire è poca cosa. Bene! Oggi no, non c’è più tempo per fare il lavoro ma visto che siamo qui ed abbiamo uomini e mezzi suggerisco di allargare un po’ il meandro, anche in prospettiva delle nuove esplorazioni.Vista dal Priaforà 2015 Massimo resta sul posto, io ed il mio collega ci accingiamo a darci dentro con i metodi di persuasione. Come ci eravamo organizzati avremmo fatto correre anche un “beco”zoppo. In due colpi da quattro (!) metri ciascuno il meandro è diventato transitabile di spalle. Massimo intanto toglieva molti dei tasselli che occludevano l’ingresso del pozzo. Lo raggiugiamo, ora senza alcuna fatica e ci dice che il pozzo è molto bello e grande. Infilandosi a testa in giù lo si può ora vedere abbastanza bene. I sassi gettati dentro risuonano lontani…. Siamo proprio contenti. Il buco sta diventando interessante. Tanto che il pozzo sotto viene battezzato da Massimo “Dei Trisavoli” (scopriamo di avere 173 anni in tre…). Il meandro disostruito diventa “Dei Sorci” (verdi).  Il Mase infine suggerisce di chiamare una buona volta il buco con un nome degno di questo nome “Abisso di Monte Priaforà”. E’ fatta.
Insomma, una volta passata l’euforia ci accingiamo ad uscire. Prima Massimo che sale come una piuma, nonostante un sacco velenoso. Subito dopo il Mase e poi il sottoscritto. Mi accorgo che sono proprio giù di allenamento. Faccio tre metri e poi mi fermo sbuffando. In qualche modo li raggiungo sull’ultimo salto, loro sono li che mi aspettano. Sono proprio sfinito dico loro. Usciamo che c’è ancora luce. Dico a loro che il sacco che ho faticosamente trascinato fin li me lo devono portare su loro, io non ce la faccio più. E così in fila indiana, uno dietro l’altro su per la provvidenziale corda stesa lungo il ripidissimo canalone. Oggi che era tutto umido e bagnato non se ne poteva fare a meno, almeno per me di certo. lentissimo li raggiungo in cima che si erano già cambiati da un pezzo. Io sono fuso. Mentre sono buttato a terra in cerca di un improbabile recupero delle forze Massimo recupera la lunga corda e poco dopo siamo pronti a partire. Decido che mi cambierò nel furgone. Le luci della sera si stanno infine spegnendo. Il sole sulla Skyline delle montagne del Pasubio dipinge ogni cosa di un bel rosso cupo, rendendo il luogo dove siamo quasi irreale (che è già irreale di suo…). Che bel tramonto! Peccato che anche io sia, come sottolinea il Mase “stra-monto!”. Sia quel che sia  dobbiamo cominciare la strada di ritorno. Massimo scatta una foto del tramonto, cercherò di farla vedere. Ormai comincia a far scuro, sono necessarie le luci del casco. Questo non è un problema. Il mio peregrinare si ed in realtà è un calvario, più che camminare mi trascino. Sono stanchissimo, forse mai così stanco. Mi riprometto in futuro di far moto, di allenarmi, non mi voglio più ritrovare così. E’ anche vero che ho collezionato finora 61 primavere…
Arriviamo al passo di Campedello. Il più è fatto, penso. Un cacchio! Non mai trovato la strada così lunga fino alla Malga Campedello. Cosa sono, 10 km? Na pena, ma ci arrivo. Qui troviamo una allegra compagnia di ragazzini scout accompagnati da tre adulti. Gentilmente ci offrono un bicchier d’acqua ed un paninetto di salame. Un goccio di carburante, per me. Ma solo un goccio perchè mi accorgo, appena ripartiti per il furgone che la riserva è finita da un pezzo. Vado avanti per inerzia, non ho alternative. In qualche modo arriviamo ed è una liberazione. Mi cambio e ripartiamo per la pianura. A Santacaterina ci fermiamo al bar per l’ovvia e sacrosanta birra. Mi è passato tutto anche se la stanchezza di fondo rimane. Brindiamo alla giornata meravigliosa che abbiamo vissuto. Chissà perchè ora mi restano nella mente solo i momenti belli della giornata. Che sia merito delle grotte? Certamente che si, ma anche per l’ottima compagnia di Massimo, persona sublime, colta, gentile e di grande spessore. E anche per quella del Mase, amico ideale col quale vivo praticamente quasi tutte le mie avventure in grotta.
Cesare